Gli anni '70 rimarranno nella memoria dei motociclisti non solo per alcune proposte che hanno tracciato una tappa fondamentale nello sviluppo del modo di intendere la motocicletta, ma anche per alcune realizzazioni dettate non solo dalla voglia di sperimentare ma anche da quella di stupire a tutti i costi.
Nel 1969 la Honda presentò la CB 750 e il mondo motociclistico non fu più lo stesso. Potenza, affidabilità, frazionamento a quattro cilindri, prezzo d'acquisto vantaggioso e qualità costruttiva erano tutte doti allora impensabili in una moto sola. Lo shock non colpì solo gli appassionati ma anche le case costruttrici, soprattutto europee, che cominciarono ben presto a chiudere i bilanci in rosso. Si salvarono solo le aziende italiane, ma la lotta basata sui numeri di produzione venne riservata esclusivamente alle case giapponesi, che in quel periodo dovevano ancora farsi una solida reputazione come costruttori di maxi moto in grande serie.
Entrando maggiormente nello specifico, le due giapponesi simbolo del periodo a cavallo tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 erano la Honda CB 750 Four e la Kawasaki Mach.
La Honda era una quattro cilindri in linea raffreddata ad aria che inaugurò il concetto di maxi-moto dal costo abbordabile, mentre la Kawasaki è ancora oggi una delle moto più incredibili che l'uomo abbia mai prodotto: tricilindrica a due tempi di 750 cc, raffreddata ad aria, con una ciclistica assolutamente non adeguata alle prestazioni di un motore cosi esuberante.
Razionalità e pazzia, per essere "romantici", contraddistinguevano queste due moto che mandarono immediatamente in delirio gli appassionati.
L'alternativa di HammamatsuLa "terza via" venne proposta dalla Suzuki quasi contemporaneamente alle altre due moto. Presentata al salone di Tokyo del 1970 (in Italia arrivò alla fine del 1971) la GT 750 rappresentava l'ingresso della Suzuki nel "mondo delle grandi".
Il settore registrava buoni numeri di vendita e non entrare in questo segmento di mercato significava perdere una buona fetta di mercato e soprattutto notorietà.
La GT era dotata di un tre cilindri in linea di 738 cc e si distingueva dalla concorrenza per un elemento davvero inconsueto per quei tempi: il raffreddamento a liquido. Questo comportava benefici sia in termini di silenziosità che di rendimento termodinamico del propulsore. Le pareti dei cilindri completamente "liscie" rappresentarono una novità per le maxi dell'epoca.
Oltre a questa particolarità tecnica, la tre cilindri Suzuki era caratterizzata da una posizione di guida comoda, che lasciava intendere una progettazione orientata prevalentemente al mercato americano.
Sostanzialmente in Suzuki cercarono di unire il meglio dei due mondi Honda e Kawasaki: praticità e comfort della prima, e "cattiveria"motoristica della seconda.
La ciclistica votata al comfort aveva delle controindicazioni nella guida sportiva che molti appassionati erano comunque tentati di intraprendere date le ottime doti di accelerazione e potenza che un propulsore a due tempi cosi plurifrazionato era in grado di fornire. Sospensioni morbide, ma anche freno a tamburo nelle prime versioni permettevano tutto tranne che una guida spinta in tutta sicurezza.
Dal 1972 al 1978 la moto venne prodotta in sei serie e a parte aggiornamenti importanti come il doppio freno a disco anteriore introdotto nel 1973, la tricilindrica rimase sostanzialmente la stessa salvo un lieve aumento di potenza introdotto nel 1974 ed alcuni particolari estetici e colorazioni - caratteristiche che è ancora oggi prassi comune modificare, per distinguere ed evolvere il prodotto da un anno all'altro.
Per quanto riguarda le prestazioni del due tempi Suzuki, pensate che questo motore era in grado di sprigionare circa 67 cv e di portare la moto a velocità prossime ai 190 km/h. Il cambio era a 5 marce e l'alimentazione era fornita da una batteria di carburatori Mikuni da 32 mm. Questa Suzuki ottenne subito un buon successo di vendite in tutto il mondo, ma in Italia non conobbe una diffusione pari alle altre giapponesi che avevano dalla loro una personalità più spiccata.
L'impossibilità di sfruttare le doti del propulsore a causa di una ciclistica poco incline a sopportare dosi massiccie di sollecitazioni (difetto comune a molte giapponesi di quei tempi) venne aggirata da alcuni preparatori, che oltre a rendere questa maxi davvero molto appagante esteticamente, la resero in grado di recuperare il gap ciclistico che nella versione di serie, e con una guida "allegra", era impossibile non notare.
Le proposte più interessanti vennero create dalla SAIAD di Torino, importatrice della Suzuki in Italia in quel periodo, e dall'importatore francese che commissionò al corridore francese Jacques Roca un elenco di modifiche da apportare per rendere questa moto non solo più votata all'uso sportivo, ma anche più appetibile per gli appassionati francesi.
Dopo circa 63.000 esemplari venduti, la GT chiuse la sua carriera commerciale nel 1978, ultimo anno di produzione. Questa tricilindrica lasciò il testimone alla serie GS, caratterizzata da un propulsore a quattro cilindri in linea e a quattro tempi.
Ah quasi dimenticavo: nonostante la moto avesse tre cilindri, per amor di simmetria, si decise di optare per un silenziatore sdoppiato sul lato sinistro.
Suzuki GT 750 J (1° serie 1972-1973):
Suzuki GT 750 K (2° serie 1973-1974):
Suzuki GT 750 L (3° serie 1974-1975):
Suzuki GT 750 M (4° serie 1975-1976):
Suzuki GT 750 A (5° serie 1976-1977):
Suzuki GT 750 B (6° serie 1977-1978):
Suzuki GT 750 "Patroller":
Suzuki GT 750 S Vallelunga 1973Definire splendida questa moto è abbastanza riduttivo e potrei parlarvi per ore di ciascun singolo particolare di questa belva. La SAIAD di Torino nei primi anni '70 era importatrice del marchio giapponese e partendo proprio dalla GT 750, allestì nel 1973 una versione speciale, denominata GT 750 S Vallelunga, che venne sviluppata per affrontare le gare riservate alle moto di serie.
La moto venne venduta in un numero limitato di esemplari (120).
Le modifiche rispetto alla versione di serie consistevano prevalentemente in una voluminosa carenatura, nei mezzi manubri, nelle pedane arretrate, e soprattutto nella cura riservata al tre cilindri, rivisto nei cilindri e nelle espansioni.
Dai 214 kg della versione normale si passò ai 190 della Vallelunga e la velocità massima, anche grazie alla carenatura, raggiunse circa 220 km/h.
Curiosità: il nome Vallelunga venne aggiunto successivamente in onore della vittoria di Renato Galtrucco alla Coppa Celere del 1973.
Semplicemente splendida.
Suzuki GT 750 Roca 1974Un'altra gran bella preparazione venne eseguita dall'importatore francese della Suzuki, sotto la supervisione del pilota collaudatore Jacques Roca.
Le necessità che portarono alla nascita di questa moto non furono corsaiole, ma bensi commerciali. La GT 750 sul mercato francese subiva in maniera particolare il fascino delle cugine giapponesi, e l'importatore francese, pur di smaltire i numerosi pezzi invenduti decise, con l'ausilio e l'esperienza di Roca, di rivedere il progetto GT 750 in chiave sportiva.
Il risultato fu davvero sorprendente: la moto venne dotata di una nuova struttura monoscocca in poliestere, di colori sgargianti, che la portarono, insieme ad altre modifiche, al successo immediato facendo volatilizzare gli 800 esemplari allestiti e a costringere l'importatore francese ad ordinare un nuovo lotto di moto.
La Suzuki, inoltre, lavorò autonomamente al progetto di una tre cilindri due tempi da corsa, denominata TR 750, che in comune con la GT aveva esclusivamente i valori di alesaggio e corsa del tricilindrico.
Spero di poter provare una GT 750 prima o poi!
FrancèFoto:
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