venerdì 15 ottobre 2010

Roberto Casadei - Sciàntal e Goffredo

"a Sciàntal era una ragazola ventiduenne bella come il profumo dei campi in primavera, con sto viso dolce disegnato dal pittore degli Dei coi colori rubati ai sogni, incorniciato da una cascata di fili d'oro lisci quanto basta, due occhi grigi da quant'erano azzurri, le mani candide e affusolate che facevan gli sghitoli alla vita, un par di tettini antigravità che stavan bene su tutto e due gambe lunghe e sode: finivano da una parte in due eleganti piedini e dall'altra in un panettoncino posteriore che ti veniva voglia di segnalarlo all'Unesco per metterlo al Louvre come patrimonio dell'umanità.
La Sciàntal era di buona famiglia: la madre era un tocco di quarantenaria che portava ancora a spasso una gnoccagine infinita e suonava la Viola (e la tromba, ma in famiglia non si sapeva...); il papi era un commercialaio revisionista contico molto conosciuto e molto onesto, giusto appena una denuncetta per sospetta truffa, ma niente di che...

La Sciàntal, come da contratto, andava bene all'università e l'unica volta che un professore osò negargli la lode, Sciàntal fece ricorso, liberò tutta la sua intelligenza e la sua retorica e l'infinita dolcezza dei mille languidi cobra che aveva nella voce, sputtanarono il mentecatto davanti ai colleghi per manifesta incompetenza: il prof entrò in analisi...
Quando si truccava era di una precisione chirurgica e non tralasciava il minimo dettaglio, tutti dicevano: "come è bella, e non si trucca neanche!", le rare volte che metteva invece del lucidalabbra il rossetto, la protezione civile dava l'allerta e imponeva il coprifuoco ai cardiopatici e buttava secchiate di bromuro nell'acquedotto.

La Sciàntal oltre tutto st'ambaradan di regali che la natura gli aveva fatto, era pure dolce, non rifiutava sorrisi ed era amica di tutti: aveva persino provato a darLa in conto visione ma tutte le volte era un disastro: la prima volta che si sbottonò il camiciolo davanti a Marco, il burino sburone bellone, lui cominciò a tremare come un plino davanti quelle marmoree rotondosità sballonzolanti e a invocare i nomi di tutti i santi dell'arco calendariale, e svenne estatico, ora lo vedete al parco che porta il pesce ai gatti randagi.
Poi venne Andrea: biondelicato, sensibile e figliodiputtana con un gran carnet imperiale di gnocche all'attivo, il miele dei baci della Sciàntal lo imbriacò di netto; adesso fa la corte al Marco di prima.
La volta buona sembrava quella di Gianni: calciatore zuccone che andava all'università con Sciàntal, un giorno che studiavano insieme, studia che ti ristudia, era arrivato allo scorger il Shangri La Mutandico della fanciulla: quando dai suoi boxer il piripillino piangendo disse: "No, mister, non me la sento di tirare sto rigore!" e si ritirò (in tutti i sensi...)

Una notte di fine primavera stava tornando da una festicciola mezza che imbariaga, quando le si piantò la Mini in tel bel mezzo del Nulla, provò a cellufonare ma il segnale latitava mestamente, provò pure ad aprire il cofano, nada! In quella kaiser di stradina non passava nessuno e cominciava a preoccuparsi, quando udì il rumore di una mietitrebbia che si avvicinava e pensò come una principessa delle fiabe: " finalmente un gentil contadinello che mi aiuterà!"
Il contadinello era il Goffredo e la mietitrebbia che cavalcava era un mastodontoso Gussi California Custom milleddue primi anni ottanta scintillante di cromature e con più luminarie del Foliès Bergere, la sinfonia mietitrebbica era il possente respiro del motore che giungeva dagli scarichi aperti.
Il Goffredo vide l'auto in panne, fermò il bicilindrone e scese dalla cavalcatura presentandosi in tutto il suo metro e novanta per un quintale netto diviso venticinque anni, si tolse il casco e sotto la zazzerona castana, c'erà sta faccia da bue buono e sti occhi verdi; i due si presentarono e Goffredo chiese cosa era successo.

Sciàntal: "si guarda, mi ha fatto un rumoraccio e poi si è fermata, qui in mezzo al nulla e non prende neanche il cellulare, non è che puoi darmi in qualche modo una mano?"
Goffredo: "si capisce! io di solito appoggio le mie manine solo su roba seria e italiana con due ruote e due carburatori, ma vediamo se riesco a combinare qualcosa su sto trabaccolo giargianese, dai apri il cofano!"
Sciàntal obbedì, Goffredo ispezionò periziosamente l'apparato propulsore e poi si impiantò immobile con le braccia conserte per cinque minuti buoni senza proferir parola, sembrava un incrocio tra una divinità vichinga e un grande capo pellerossa; Sciàntal stava per dirgli qualcosa, quando il volto di Goffredo si riaccese e fece un gran sorriso: "è una cazzata, adesso facciamo una trasfusione meccanica che ti farà tornare a casa!".

Prese da sotto la sella una borsa di pelle nera con un'aquila dorata sopra che sembrava minuscola, la srotolò e la aprì per un'estensione di due metri quadri, mostrando una dotazione di splendenti attrezzi con cui si potevano registrare anche le turbine di un Boeing 747; prese un par di chiavi, svitò un bullone alla Gussi e ne estrasse una rondella che trapiantò con perizia chirurgica nel motore della Mini.
"Accendi!" disse Goffredo, e il motore cantò come un fringuello, poi disse: "Ascolta ti ho fatto un accrocchio che ti fa da ponte, ma non ti assicuro che tenga botta, ti seguo fino a casa!" Così fece e Sciàntal ritornò a casa scortata, al momento dei saluti Sciàntal disse: "sei stato molto carino con me, come posso sdebitarmi?" Goffredo capì che la Sciàntal quelle robe le pensava veramente e allora con un gran sorriso le chiese: "ascolta domenica c'è un raduno sugli appennini, non mi va di andarci da per solo, vieni con me?"
Sciàntal, sincera disse: "ma io veramente ho paura a salire sulle moto..."
Goffredo: "guarda che questa non è solo una moto, questa è una Gussi! Ti passo a prendere domenica mattina alle sette, abbiamo duecento chilometri da fare, te rimedia un casco, ti saluto"
Sciàntal rientrando pensò:"ma guarda te che impertinente...si....però....è un sandrone!..ma, sta a vedere che..." e quella notte non riuscì a prender sonno.
Goffredo tornando a casa guardando le stelle pensò agli occhi di Sciàntal, il freschino della notte gli ricordava il brivido che gli aveva procurato il suo tenero "grazie", e si addormentò pensando: "fatta gnocca che ho incontrato!"
Domenica mattina Goffredo arrivò puntuale e la Sciàntal si presentò in jeans sduciti, stivaloni e giubbotto in pelle: un concentrato di gnocchismo al quadrato, Goffredo gli disse: "complimenti! Salta su che non morde mica!"
Sciàntal per la prima volta in vita sua si accorse subito che le sue terga eran fatte per stare su quel sellino posteriore, fece finta di non notare le maniglie laterali e distrattamente si abbracciò a Goffredo e la giornata iniziò.

Al motoraduno fu un'apoteosi di filosofia e salsicce,di birra e casino, di bruttefacce dal cuore d'oro e di puro rakkenroll: Sciàntal era felice come non mai e all'una e un quarto, tra lo stinco e l'insalata,senza neanche pensarci su, schioccò il primo bacio. La giornata finì ma altre giornate ed altri chilometri li stavano aspettando, Goffredo appena finiva di lavorare (con suo padre aveva un camion per gli spurghi, un lavoro che salvava dalla cacca parecchie persone) andava a prendere col MotoGussi la sua bella. Da li a poco finirono sbracati sul talamo e scoprirono che erano nati per farsi l'amore a vicenda.

Una notte erano tutti e due in mezza gatta a guardare il cielo e Goffredo le disse: "La vedi quella stella lì, quella bella luminosa che sembra faccia un triangolo con le altre due lì vicine? Quella lì si chiama Sciàntal come te, ma te sei più bella e lucente di lei!"
Sciàntal rispose ridendo: "Sei un fanfarone quella è Deneb, della costellazione del cigno, ma ti amo anche per questo!"
Sciàntal non aveva mai detto ti amo a nessuno, e Goffredo non aveva mai sentito mai una parola così dolce in tutta la sua vita, si abbracciarono rendendosi conto che mai una notte in tutta la loro vita sarebbe stata così perfetta..

E fu così, Goffredo accompagnò a casa Sciàntal, la baciò lungamente e sulla strada del ritorno dietro ad una curva incontrò Madame Destino, travestita da camionista ubriaco, che si prese quel che rimaneva dei suoi giorni.
Sciàntal in una notte d'estate quindici anni dopo, era sul terrazzo che piangeva stringendosi un ciondolo al petto, suo marito uscì e gli chiese: "amore perchè piangi, ti vedessero le gemelle e Luca!"
Sciàntal rispose: "hai ragione, ma sai, sapere che quella stella lassù ha il mio nome, mi mette una strana malinconia..."
Il marito inforcò gli occhiali e disse: "ma quella tesoro è Deneb, ti stai sbagliando!"
Sciàntal: "le cose a volte assorbono il nome che gli si dà col cuore, vai a letto che tra poco arrivo".
Il marito ubbidì, era abituato alle sue piccole stranezze: il non volergli mai dire "ti amo" sebbene fossero una coppia perfetta, il non voler mai salire dietro su una moto, sebbene ne guidasse una, quell'aquila dorata tatuata sul cuore e il suo portarsi quella strana rondella incastonata nel ciondolo."

Roberto Casadei


Desidero ringraziare Roberto Casadei per avermi concesso la pubblicazione di questo bellissimo racconto.

Francè

3 commenti:

  1. Veramente un bel racconto! :-p

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  2. Cavoli, a me queste cose fan venire gli occhi lucidi! Complimenti all'auotore...mi ha fatto emozionare.

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